venerdì, novembre 10, 2006

Bella di giorno



Una giovane signora borghese, piuttosto frigida con il marito, si mette a frequentare di pomeriggio una casa d'appuntamenti e diventa la regina dell'erotismo, finché non si risolve a dedicarsi (ma sul serio) al legittimo consorte. Però uno dei suoi amanti non accetta il ravvedimento. Spara al povero marito ignaro riducedolo in fin di vita. La "bella di giorno" si voterà alla cura del poveraccio (e alla castità) per tutta la vita. Con questo film d'argomento osé (per il '68), il grande Luis Buñuel a quasi settant'anni conquista un ampio pubblico. Meglio tardi che mai. Un mediocre romanzo di Kessel diviene per lui l'occasione per raccontare cinematograficamente una nevrosi con notevole acutezza e sensibilità. Fa ancora oggi testo il suo modo di alternare la realtà e le fantasie della protagonista (uno studio sulla schizofrenia che anche gli specialisti hanno trovato impeccabile).
Scheda Tecnica:
Anno di produzione: 1968
Titolo originale: Belle de jour
Regia: Luis Buñuel.
Genere: Drammatico
Durata:120 minuti.
Produzione: Francia
Recensione e critica di Alberto Moravia:
Sévérine, moglie borghese di un giovane chirurgo, è stata, bambina, accostata da un bruto. Da questo trauma le sono venute due ossessioni parallele: di colpa e di voglia di ripetere la colpa. Un erotomane a nome Husson le fa la corte, invano; un giorno per caso, le rivela l’indirizzo di una casa di appuntamenti che in passato gli è accaduto di frequentare. Subito, Sévérine, si precipita alla casa e chiede alla tenutaria, Madame Anays, di lavorarci. Così comincia per lei una doppia vita: signora irreprensibile a casa, Sévérine, al bordello in cui si reca ogni giorno dalle due alle cinque, diventa la prostituta “Belle de jour”. Tutto andrebbe liscio se a un tratto non accadessero due fatti. Il primo è che Husson, l’erotomane che le ha dato l’indirizzo e l’aveva corteggiata invano, si presenta alla casa di appuntamenti e la riconosce; il secondo è che uno dei clienti del bordello, un giovane criminale spagnolo, si innamora di lei. A Sévérine il ragazzo piace finché non è che uno dei soliti clienti che la violentano e la profanano; ma non vuol saperne del suo amore. Lo spagnolo la fa seguire, irrompe nella sua casa; Sévérine lo scaccia. Lo spagnolo si apposta; abbatte a colpi di rivoltella il marito di Sévérine; a sua volta viene ucciso dalla polizia. Adesso il marito è paralizzato e quasi cieco, non si sa se guarirà. Arriva Husson e, per vendicarsi della ripulsa di Sévérine, gli svela la verità sul suo ferimento e sulla doppia vita di sua moglie. Nella motivazione del premio di Venezia, a proposito di questa Belle de jour di Luis Buñuel, si diceva che il “film confermava la grande lezione dei surrealismo di cui Luis Buñuel è uno dei rappresentanti più illustri”. Questa frase non ha nulla di convenzionale. In realtà Buñuel ci ha dato uno dei rari film che siano al tempo stesso spettacolo e opera d’arte. E questo l’ha ottenuto grazie soprattutto alla sua esperienza dei surrealismo, forse la sola avanguardia che abbia cambiato e arricchito la nostra visione del mondo e conquistato nuovi territori di conoscenza. Ci sono due specie, almeno, di surrealismi. Quello fantastico nel quale il sogno si presenta come realtà (Dali, Ernst, Delvaux, Magritte ecc. ecc.); e quello nel quale la realtà si presenta come sogno (Lautreamont, l’Aragon del Paysan de Paris, Nadia di Breton, Roussei, lo stesso Freud). Belle de jour appartiene alla seconda categoria. Perché la realtà è un sogno in Belle de jour? Perché Sévérine ha sognato tutta la vita, con nostalgia e senso di colpa, di essere profanata e violentata; e, alla fine, il suo sogno si realizza. Per questo la prima parte è superiore alla seconda. In questa prima parte, infatti, il sogno di Sévérine non incontra alcuna smentita: essa vive il proprio sogno e sogna la propria vita. Aveva sognato di essere posseduta da un bruto; ed ecco il bruto le sta sopra e la possiede davvero. Così, appunto perché sogno e realtà vi si identificano così perfettamente, anche il bordello non è un luogo della realtà, ma un luogo di sogno nel quale, appunto, la sola realtà è il sogno di Sévérine. Donde la precisione allucinata dei particolari; l’assenza di psicologia. Invece, nella seconda parte, Sévérine è costretta a svegliarsi. Qualcuno la riconosce, qualcuno l’ama. Scoppia una tragedia che non è sogno, bensì, purtroppo, mera realtà. Ma Sévérine è un’incorreggibile sognatrice: quando viveva il suo sogno di stupro, allora sognava di essere punita; adesso che il marito è paralizzato e sa della sua doppia vita, sogna che il marito è sano e non sa nulla e loro si amano e vivono felici. Ma si capisce che fa questo sogno per illudersi di potere, un giorno, tornare di nuovo al bordello e riprovare il brivido dello stupro. E inutile cercare delle implicazioni sociali in questo film: Freud non è Marx, e questo è un film, alla lontana, freudiano. Il grande merito di Buñuel anzi è stato di aver scartato con mano leggera ogni denunzia moralistica; di essersi tenuto, con superiore maestria, a una rigorosa descrizione. Tutto è visto attraverso gli occhi di Sévérine; e Sévérine, appunto, è una sonnambula o, se si preferisce, una visionaria. In un simile film, la regia prevale, anzi riassorbe l’interpretazione. Catherine Deneuve, volto consumato dalla lussuria e dal senso di colpa, è un’immagine memorabile. Accanto a lei, visti da lei, bisogna lodare Jean Sorci, il marito; Michel Piccoli che è Husson; Francisco Rabal e Geneviève Page.
Da Al cinema, Bompiani, Milano, 1975